Gugal bar Lilitu

Luca scendeva le scale. A metà della terza rampa inciampò e d'istinto afferrò la ringhiera con una mano mentre slittava giù con i piedi per tre-quattro gradini. La torsione sbilanciò la grossa borsa che portava a tracolla e la cinghia premuta sulla gola gli mozzò il respiro. Con uno scatto rabbioso del braccio spostò indietro il peso della sacca e si raddrizzò, sempre tenendosi alla ringhiera. Si passò una mano sul collo mentre tossiva, quindi riprese la discesa. Si asciugò la mano sulla maglietta e sui pantaloncini.

Sul marciapiede il sole batteva con forza nonostante l'ora tarda. L'aria era immobile, Luca si sentiva i vestiti appiccicati al corpo. Una goccia di sudore gli cadde dalla fronte e finì sull'asfalto mentre con una gamba dava l'ennesima spinta al borsone che gli strusciava contro un fianco. Superato il primo isolato, procedette nello stretto passaggio tra il muro, oltre il quale si stendeva il parco fluviale, e i lavori che bloccavano la strada. L'ombra obliqua dei pini che si allungavano sopra di lui non era sufficiente a nascondere il sole. Un improvviso silenzio delle cicale acuì il suono della borsa che sfregava contro il muro. Arrancò lateralmente per qualche passo ma ottenne solo di far impigliare il gancio della tracolla nell'attacco di una transenna mal messa.

Attraversò la strada sull'unico ponte di assi approntato fra gli scavi e finalmente giunse alla lavanderia automatica. Aveva il fiatone. Mentre abituava gli occhi alla minore luminosità si godette il relativo refrigerio della stanza in ombra. Come in strada, non c'era nessuno. Andò alla lavatrice più vicina, posò a terra il borsone, lo aprì e cominciò a infilare i panni nel cestello.

Sedeva con le spalle rivolte alla vetrina della lavanderia. I vestiti, di fronte a lui, si avvoltolavano alla rinfusa nell'acqua schiumosa. Ancora tre settimane alla partenza. Appoggiò la nuca al vetro e si maledisse per aver accettato il lavoro. Andrea e Virginia erano partiti per la Sicilia da quasi una settimana: aveva smesso di guardare gli aggiornamenti online da quando avevano postato le prime foto. Sospirò. Chissà invece dov'era Elena. L'aveva vista... quand'era? Una decina di giorni prima?... con quello spilungone abbronzato. Con una leggera stretta allo stomaco scacciò dalla mente l'immagine di lei che giocherellava con uno dei dreads del tipo.

VvVVvvvVVVvvvVVvvv... Il rumore cadenzato del cestello aveva un che di ipnotico. Sulle altre lavatrici, nei vetri semiaperti degli oblò si vedevano i riflessi delle transenne, del muro di cemento oltre la strada e addirittura di un pezzetto di cielo tra gli alberi. VVvvvVVvv... Si deterse il sudore dalla fronte con il dorso della mano e si asciugò di nuovo nei pantaloni. Ma chi gliel'aveva fatto fare? Il vecchio di quella mattina in piazza Stazione aveva superato tutti: «E vai a lavorare!», gli aveva gracchiato senza fermarsi. Se andava avanti così, non avrebbe preso neanche i quattrocento euro del suo stipendio di base da dialogatore. VvvvVVvvvVVv...

Una grossa automobile blu passò silenziosa nei riflessi davanti a lui. La fissò inconsapevole per un momento mentre scompariva e riappariva fra gli oblò, quindi sbarrò gli occhi e si voltò. In strada c'era proprio un Suv. Avanzava come se sotto alle ruote ci fosse l'asfalto anziché un fosso. Luca sbatté le palpebre più volte. Il mezzo attraversò una transenna senza smuoverla, quindi uscì dalla sua visuale.

Lanciò un occhio al suo bucato. Recuperò dal pavimento la borsa vuota e uscì. Fece in tempo a vedere la parte posteriore della macchina scomparire oltre l'ingresso del parco. Corse in quella direzione, colpendo ripetutamente le transenne con la borsa ora molto più leggera. Nell'aria aleggiava un odore salmastro.

Anche dentro al parco non incrociò anima viva. Appena giunto sulla soglia vide il Suv allontanarsi lungo la sterrata fra i platani e i pini. Continuò l'inseguimento, con il borsone che gli sbatteva sulla gamba. Pochi metri più avanti era senza fiato e rallentò. Il Suv aveva svoltato dietro a un gruppo di alberi più fitti ed era sparito di nuovo. Tenendosi una mano sulla milza, Luca ricominciò a correre. Raggiunse il punto in cui il Suv aveva curvato e si appoggiò con la schiena a un salice per riprendere fiato.

Del Suv nessuna traccia. Fece un giro intorno al tronco dell'albero guardando in tutte le direzioni. Niente. Un'allucinazione? Aveva creduto di vedere una macchina volare e passare attraverso una transenna, l'aveva inseguita ed era scomparsa. Si passò i palmi delle mani sulla faccia cercando di scuotersi. Aveva proprio bisogno di qualcosa da bere e di una doccia fresca.

Alzò gli occhi e lo vide di nuovo. Il baule blu metallico si allontanava in direzione del fiume, fra gli alberi sempre più fitti. Luca restò fermo, incerto sul da farsi. Anche il Suv si bloccò, qualche decina di metri più avanti. Le cicale avevano tutte smesso di frinire, l'unico rumore rimasto era l'ansare del ragazzo. L'odore di salsedine persisteva pungente.

Dal Suv si aprì una portiera e scese un uomo. Pareva decisamente troppo vestito: giacca a vento viola aperta sul davanti, maglia di lana marrone, pantaloni lunghi di velluto. L'uomo guardò in direzione di Luca grattandosi la barba brizzolata, alzò il braccio in un gesto di saluto e gridò, con una voce profonda: «Luca, vieni!», quindi si voltò e si incamminò con passo deciso.

A sentire il suo nome, Luca sobbalzò. Si guardò intorno per vedere se l'altro si fosse rivolto a qualcuno che lui non aveva notato, ma vide solo terra, alberi ed erba ingiallita. Si girò di nuovo verso l'uomo che adesso era seminascosto dalla vegetazione e procedeva dandogli le spalle. Lo seguì.

Lo raggiunse al limitare dell'argine, dove la terra coperta di sterpaglie degradava verso la corrente. Si avvicinò con circospezione fino ad arrivargli accanto. Si sentiva la gola secca. L'uomo aveva una corporatura imponente, era più alto di lui di quasi tutta la testa. Il suo volto rugoso era immobile, gli occhi fissi sull'acqua che gorgogliava. Il giovane deglutì e si fece coraggio: «Buonasera».

Il vecchio girò la testa e lo guardò: «Ciao, Luca».

«Ci conosciamo?»

L'uomo ridacchiò e riprese a fissare il fiume. Parlò lentamente: «Io penso di conoscerti... abbastanza. Tu non credo mi conosca».

«Quindi, lei chi è?»

Un momento di silenzio. «Mio figlio è morto qui».

Luca corrugò le sopracciglia. Girò lo sguardo sul fiume che scorreva placido, poi tornò a osservare il vecchio: «Mi spiace».

Indicò con un gesto del braccio la direzione da dove erano venuti: «La macchina che guidava...»

Il vecchio sogghignò di nuovo.

«Sei un ragazzo curioso, Luca», scosse la testa continuando a sorridere, «se non fossi stato così curioso forse Elena non ti avrebbe lasciato».

Luca fece un passo indietro e alzò la voce: «Ok, ora lei mi dice chi è e cosa vuole da me».

L'uomo si girò verso Luca e alzò le mani in segno di scusa. «Devi perdonarmi. Ti prometto che ti spiegherò ogni cosa. Però prima mi piacerebbe fare due chiacchiere con te, se vuoi assecondare il desiderio di un povero vecchio tornato dove è morto il suo unico figlio».

«E di che vorrebbe parlare?»

Luca non si riavvicinò. Quel tizio lo spaventava, però aveva ragione su una cosa: voleva saperne di più.

Il vecchio sospirò e abbassò lo sguardo. «È passato molto tempo da quando se ne è andato. È successo proprio qui, in questo punto».

«È caduto in acqua?»

L'uomo rialzò la testa di scatto, la fronte aggrottata: «Ma come avrebbe...», poi rilassò i muscoli e tornò a guardare il fiume. A voce più bassa proseguì: «No, no, certo che no. Lo hanno raggiunto qui, all'asciutto. Non sarebbe mai potuto morire nell'acqua».

Dopo un attimo aggiunse: «Era troppo abile, come nuotatore».

Entrambi stavano ora fissando il fiume. Luca non sapeva che dire. L'uomo si avvicinò e chiese: «Tu sei credente?»

Il ragazzo si passò una mano su una guancia e sul collo, a disagio. Non riusciva a pensare a niente tranne che aveva una gran sete. Appoggiò dietro di sé la borsa che fino a quel momento aveva tenuto a tracolla. «Uhm... No, direi di no».

«Ateo?»

«Forse... agnostico è più corretto».

Il vecchio mugugnò insoddisfatto, poi brontolò: «Agnostici. Senza il coraggio di credere».

Luca alzò un sopracciglio.

«Lei in cosa crede?»

«Oh, io non è che abbia granché da credere. So molto più di quel che vorrei».

Che sete. In altre circostanze avrebbe già bollato il vecchio come uno squinternato e avrebbe trovato una scusa per andarsene.

Il vecchio proseguì: «In fondo, forse, è giusto così. A ciascuno è dato sapere alcune cose, e non altre, a seconda della propria natura».

«Cioè?»

«Tu non sarai d'accordo, ma io lo so. Conosco cose che non saprai mai, e immagino che io non potrò mai capire come sia vivere una vita come la tua: le nostre nature sono diverse e sarà sempre così».

Luca sbuffò, chiedendosi di che stesse parlando l'altro, poi buttò lì: «Questo non vuol dire che non possiamo cambiare».

Le labbra dell'uomo tornarono a incresparsi verso l'alto.

«Allora sei capace a mettere in fila più di cinque parole, anche se solo per dire una banalità... Mio figlio la pensava come te, ma aveva torto e ora non c'è più».

Luca trasse dei respiri profondi. Si sentiva stanco.

«Senta, come fa a conoscermi?»

«Torno spesso qui. Parlare con qualcuno mi aiuta a rievocarlo. Come ti dicevo, lui la pensava come te. Era anche molto curioso, come te. Ma era soprattutto testardo, sempre da solo contro tutti, quali che fossero le conseguenze».

Luca stava avendo un calo di pressione. Il cuore gli martellava in petto, doveva sedersi da qualche parte. Il vecchio lo prese per un braccio, avvicinandosi ancora. Gli parlò concitato, a pochi centimetri dall'orecchio. Aveva un alito che sapeva di... mare?

«Lui se n'era andato di casa, viveva da vagabondo... Aveva degli ideali, se li si può chiamare così. Pensa che era diventato... come dite?... vegetariano. Lui! Tu sei vegetariano, Luca?»

Luca provava senza successo a staccarsi da quella presa. Gli girava la testa.

«N... No. Mi lasci».

Il vecchio ormai gridava isterico in faccia a Luca, dandogli degli scossoni: «Bravo! Noi non siamo fatti per essere vegetariani. La natura di alcuni è di essere cibo per altri. Così deve rimanere! Non sei d'accordo? Mio figlio no. Non poteva! Perché non poteva? Perché tu sì e lui no? Si nutriva della linfa delle piante, ci crederesti? È stato cacciato e poi ucciso! Non aveva più la forza per difendersi, capisci?»

Un lampo di lucidità, Luca alzò la testa: «Lei si sente in colpa perché l'ha cacciato, lei...».

Il vecchio spalancò gli occhi, lasciò andare il ragazzo e fece un passo indietro. Luca riuscì a tenersi in piedi, barcollante, e vide sospeso a mezz'aria un filamento argenteo che partiva da sotto la sua maglietta e finiva sulla giacca dell'uomo. Alzò stupefatto la t-shirt e fissò, subito sotto le costole, il punto in cui quell'impossibile rivolo d'acqua era penetrato in lui. Cominciò a tremare violentemente. La pelle tutto intorno era diventata scura, seguì con gli occhi la direzione della corrente d'acqua, da sé al... Il vecchio era diventato traslucido. Aveva ancora forma umana, ma il suo corpo si era trasformato in una vorticosa massa di liquido verdastro, piena di corpuscoli e alghe.

Nuove protuberanze uscirono dal corpo del vecchio e si allungarono verso Luca. Il ragazzo indietreggiò, incespicò nella sua borsa e cadde. I tentacoli lo avvolsero in una stretta gelida e lo sollevarono da terra. Tossì. Faceva sempre più fatica a respirare. I tentacoli lo avvicinarono a quella cosa che stava perdendo le fattezze umane e mutava in una massa informe. La testa traslucida sporgeva ancora all'estremità superiore, torreggiante sopra il ragazzo. Gli occhi e la bocca erano dei gorghi neri. Un sibilo: «Ringrazia di non sapere che cos'è il rimorso eterno, cibo».

Un rantolo, un ultimo tentativo di divincolarsi. Luca sprofondò in un'oscurità priva di sensazioni.

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