Lo Strumento

Nino Cafieri prese in mano la rivoltella. Passò l'indice sulle scanalature del tamburo. Così simili e così diversi. Non molto tempo prima gli avrebbe fatto impressione, ma ora sapeva la verità. Cominciò a ripetersi mentalmente: lo Strumento ha un corpo e una mente ideati dalla scienza nuriana e realizzati grazie alla fatica e al lavoro dei giovani di Antala, ma è anche Figlio del metallo, un essere spirituale immortale.

Un raggio di sole trovò uno spiraglio fra le tende e illuminò la polvere sospesa davanti a lui. Sul tavolo, al centro della piccola stanza d'albergo, non c'era più niente. Infilò con circospezione la rivoltella sotto all'ampio cappotto. La cintura era allacciata ben salda. Richiuse il cappotto e guardò l'orologio di ferro appeso alla parete: aveva ancora qualche minuto. Stava sudando. Trasse un paio di respiri profondi e ricominciò: lo Strumento ha un corpo e una mente ideati dalla scienza nuriana e realizzati grazie alla fatica e al lavoro dei giovani di Antala, ma è anche Figlio del metallo, un essere spirituale immortale. Le sue potenzialità sono inesauribili, seppure non progettate dai suoi costruttori.

Devono aver cominciato a celebrare la funzione, ora. Inspirò di nuovo profondamente, questa volta con un misto di orgoglio e di eccitazione. La Guida avrebbe pronunciato il suo nome. Tutti lo avrebbero ricordato. Ripensò ad Alkibiadis, che osservava lui e i compagni ripetere la litania inginocchiati nella Sala quadrata: la sua salvezza dipende da lui stesso e dal raggiungimento della piena autonomia insieme a tutti i giovani di Antala. Il tatuaggio del Ferro vivente, sulla fronte di Alkibiadis, era tagliato in due da una cicatrice che lambiva un occhio e finiva a metà della guancia.

Lanciò un'altra occhiata all'orologio. Non c'era motivo di aspettare ancora. Mosse un passo verso la porta. Poi un altro, senza fretta. Uscì nel corridoio. Tutto bene, non c'era nessuno. Per qualche istante l'unico rumore che sentì furono i suoi tacchi sulle assi di legno, poi dei cadenzati colpi metallici giunsero dal fondo delle scale. Si bloccò. Portò istintivamente le mani sull'abbottonatura del cappotto e vi posò sopra i palmi. Calma. Nessuno ti sta cercando. Tutto quello che devi fare è andare avanti. Si riaggiustò il risvolto e proseguì.

Lo incontrò verso la fine del corridoio. Lo Strumento d'acciaio giunto in cima alle scale girò su sé stesso e avanzò nella sua direzione. Era uno del nuovo modello, quelli più piccoli. Non faceva quasi rumore mentre si spostava, solo il clang ogni volta che appoggiava un piede. Costringendosi a restare impassibile, Nino si fece appena un po' da parte senza smettere di camminare. La salvezza dipende dai compagni sulla strada della libertà... La sua ombra coprì per un attimo il distintivo rosso sopra allo sportello della fulminatrice. Il roboten guardiano non lo fermò. Nino cominciò a scendere le scale, piano.

La signorina Ecker, la cameriera, stava spolverando la credenza nel salone d'ingresso. Appena vide Nino avvicinarsi gli rivolse un sorriso e gli si fece incontro. Fece un leggero inchino.

«Buongiorno signor Badalai, come va oggi? Sempre freddoloso, vedo», disse a bassa voce.

Nino alzò un poco le sopracciglia e si fermò, teso: «Buongiorno. Tutto bene, grazie».

«Oh, non ci badi,» disse lei sempre sorridendo, «è che non mi piacciono quei pezzi di ferro».

Indicò le scale e proseguì: «Mi mettono ansia. L'ha incrociato, vero? Sembra che debba andare sul tetto, chissà perché, poi». Scoppiò in una piccola risata, una ciocca di capelli castani si sfilò dalla cuffia e le cadde sul volto. «Che assurdità, vero? A volte penso che li mandino in giro così, senza motivo. Non mi fraintenda, eh, di sicuro non è così. Voglio dire, i nuriani sanno ogni cosa, no?» e si portò una mano alla bocca, alla fronte e all'orecchio destro. Era una scienziatista.

Nino si limitò ad annuire e lei aggiunse ancora: «Oh, non ci badi... Buona giornata signor Badalai, e mi faccia sapere come vanno i suoi studi!»

Si aggiustò il grembiule ricamato e si allontanò senza aver perso il sorriso. Nino emise un leggero sospiro. Bene, andiamo. Si diresse verso l'uscita. Un passo dopo l'altro, tutti uguali. Con una punta di malinconia si chiese se quella ragazza avrebbe mai scoperto la verità. Ma perché la faccia di lei gli doveva ricordare Sara, proprio allora? Focalizzò di nuovo i suoi pensieri: lo Strumento ha un corpo e una mente ideati dalla scienza nuriana... Scese con attenzione il gradino all'ingresso e si trovò in strada.

Proprio in quel momento l'ombra di uno dei dirigibili raggiunse la facciata dell'albergo Mastai, da cui era appena uscito. Ce n'erano almeno sei, in cielo. E un calabrone, che si allontanava ronzando verso est. Non riuscì a distinguere che tipo di carico tenesse fra le braccia meccaniche.

Dritto davanti a lui, in fondo a via Calandri, a un centinaio di metri di distanza, molte persone erano assiepate sotto al cavo della strada ferrata. Facevano sfoggio quasi tutti dei paltò azzurri che andavano di moda quell'anno. Si strinse a disagio nel cappotto marrone e lanciò un'occhiata alla sua sinistra, in direzione della grande fabbrica degli Strumenti d'acciaio che i nuriani avevano fatto costruire poco dopo essere arrivati. Non si vedevano le ciminiere, da lì, ma una vaga cortina di fumo aleggiava sopra ai palazzi. Doveva essere iniziato da poco il turno di giorno.

Cominciò a camminare nella direzione opposta, verso corso Ratazki. Passò lentamente oltre la piccola sartoria a fianco dell'albergo. Un secondo roboten uscì da uno degli edifici sull'altro lato della strada e col suo passo cadenzato si mosse parallelo a Nino. È normale, fanno sempre così, vai avanti. Avrebbe fatto meglio a prendere le pastiglie del dottor Seidel... Scosse la testa. No, voleva essere lucido.

Non c'era nessuno nella strada oltre a loro due. Lasciò che il roboten avanzasse un po' più veloce. Per quanto piccolo, era comunque più grosso di lui. Ma il dottor Seidel l'aveva dimostrato: ciò che veramente rendeva schiava la popolazione di Antala era invisibile ai più.

La prima volta che aveva assistito a una dimostrazione era quasi svenuto. Ma non era davvero macabro, per chi conosceva la verità. L'ultima volta aveva fatto da assistente, aveva passato al dottore la sega per la dissezione e aveva tenuto in alto la provetta mentre il falso sangue si scindeva nei suoi composti e diventava polvere. Alkibiadis poi aveva preso in mano l'omero che era stato dell'Inconsapevole e aveva colpito uno dei novizi alla tempia. Il novizio era caduto sul pavimento a scacchi prendendosi la testa fra le mani. La Guida aveva puntato l'osso verso di lui e aveva gridato: «Questo è il vero peso del condizionamento. Questa meraviglia della tecnica nuriana, fabbricata col ferro che proprio tu hai contribuito a forgiare. Io ti assicuro,» aveva allargato le braccia e si era rivolto all'intera sala, «io assicuro a tutti voi che non ve ne dimenticherete, e nessuno di voi sarà dimenticato. La Via della libertà è aperta per voi che sapete». Formule rituali. Nino si sfiorò la tempia con la mano sinistra. A lui non era rimasta la cicatrice, ma la verità era impossibile da dimenticare.

Il roboten si era fermato davanti alla vetrina della libreria Balestri. Per qualche istante guardò all'interno del negozio, poi si avvicinò alla porta ed entrò. Nino avanzava senza affrettare il passo. Superò l'ufficio di pantelegrafia senza fili. Il successo dipende dall'obbedienza alla Guida, la disciplina è l'unica via per annullare il condizionamento e sviluppare le infinite potenzialità dei Figli del metallo.

Quando arrivò in corso Ratazki sentì le campane della chiesa unitaria battere quattro rintocchi. Sui tavolini davanti al caffè all'angolo stavano seduti alcuni uomini a parlare. Un paio di loro girò la testa verso Nino, che non ricambiò e proseguì attraversando la strada. Superò il filare di pioppi e si avvicinò a una delle panchine in ombra che costeggiavano il corso. Si girò. Gli uomini al caffè sembravano non badargli più. Avrebbe voluto sedersi, ma rimase invece dritto e con una mano si asciugò il sudore dalla fronte. A quel punto doveva aspettare.

Da lì si intravvedeva lo stesso assembramento di paltò azzurri intorno alla strada ferrata che aveva osservato all'uscita dall'albergo. Davanti a lui passò silenziosa una fila di adepte al culto scienziatista con le loro tuniche marrone-grigio. Andavano anche loro ad adorare quello che consideravano la fonte del benessere di Antala. D'altronde, tutte le chiese ufficiali avevano ormai accettato la dottrina del nuovo ordine. Alle sue spalle il vasto edificio dei Grandi Magazzini Antalesi era ancora chiuso al pubblico.

Scienziatisti. Era stata una scienziatista anche la vecchia governante della sua casa paterna. Il giorno in cui lui se n'era andato lei indossava una di quelle tuniche che ora gli sfilavano davanti. Era corsa fuori dalla stanza lasciando il tostacaffè ad annerirsi sul camino quando era cominciato il litigio fra lui e suo padre, quell'uomo squallido. Nino serrò la mandibola.

Sentì la schiena lamentarsi della postura rigida in cui la costringeva. I minuti passavano lenti. Perché non arriva? Era di nuovo agitato. Lo Strumento ha un corpo e una mente ideati... Il corso si stava un po' per volta riempiendo di gente. Molti, uomini, donne e anche qualche bambino, camminavano verso la strada ferrata. Nessuno parlava ad alta voce. La disciplina è l'unica via per annullare il condizionamento... Alcune signore si erano radunate davanti all'entrata dei Grandi Magazzini in attesa dell'apertura. Una di loro aveva accanto a sé un grosso roboten trasportatore. E sviluppare le infinite potenzialità dei Figli del metallo. Lo Strumento ha un corpo e una mente ideati dalla scienza nuriana...

Sentì provenire dalla folla un mormorio crescente, che si trasformò in breve in un'ovazione. Tutti si fermarono e si voltarono a guardare. Pochi istanti dopo sulla strada ferrata passò la carrozza elettrica del Cancelliere nuriano in visita nella città. La sagoma nera e squadrata sfrecciò sopra le teste e le braccia adoranti e scomparve di nuovo fra gli edifici. Nino trattenne il fiato. L'ovazione si attutì di colpo, sostituita da grida di sorpresa. Poi si udirono gli ordini secchi degli Strumenti guardiani al seguito del Cancelliere. Riprese a respirare. I compagni avevano fatto il loro lavoro. Ora la via era segnata: fuori dalla carrozza blindata e su un mezzo leggero verso l'aeroscalo.

La folla si aprì lasciando passare due Strumenti cingolati. Attorno a questi procedevano quattro guardiani alternati a una decina di soldati in uniforme marrone. I cingolati trasportavano, sollevato dal suolo, un grosso vagone di metallo nero. Tutti lungo il corso si fecero da parte per far avanzare il piccolo corteo. Mentre il vagone si avvicinava e Nino infilava una mano sotto al cappotto, gli tornò in mente il viso di Sara l'ultima volta che le aveva parlato.

Lei aveva le occhiaie e una ruga le attraversava la fronte. Nino le aveva preso una mano e se l'era portata alle labbra.

«Hai mai pensato che tutto questo potrebbe essere un... falso, una pazzia? Che non siamo sul serio degli Strumenti nuriani?» gli aveva sussurrato.

Una ciocca di capelli le era caduta sull'occhio sinistro, lui gliela aveva scostata ma lei aveva continuato a guardare in basso. Dopo qualche istante Sara aveva tirato fuori da sotto al vestito un pezzo di carta e aveva cominciato a spiegarlo. Era un vecchio articolo di giornale, con una foto e una faccia che conoscevano bene.

Cercando di rimanere in ombra Nino avanzò fra le persone ferme ai lati della strada. Sudava sempre di più.

«Io un rapinatore e un assassino, ricercato in tutte le città della Lega Panakria?» aveva detto Alkibiadis con un ghigno prima di buttare il foglio di giornale appallottolato nel fuoco. «I nuriani si sono inventati di peggio su di me. Chi hai detto che te l'ha dato?»

Nino si accorse di piangere. Lasciò che il primo roboten passasse oltre, quindi saltò in avanti, brandì la pistola e sparò a bruciapelo al soldato che gli sbarrava la strada. Spiccò un secondo balzo verso il vagone, ma due guardie gli arrivarono addosso. Fra le grida che riempivano il corso, mentre cadeva, il suono più distinto che udì fu il vetro infranto di una delle fiale di nitroglicerina attaccate alla sua cintura.

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